"Sapevo di parlare con un morto"

Domenico Sparpaglione, nella sua biografia del Beato Luigi Orione, narra quanto segue (tralascio alcuni tratti secondari): «Mauro Montagna e il Diverso Compagno: Un fiore di santità e un esempio ammonitore. Due nomi indissolubilmente legati negli annali di "Santa Chiara".
Don Orione chiamava il primo il suo Domenico Savio. Andò a casa ammalato e volò al Cielo. Poco tempo dopo la sua morte don Orione ha una visione straordinaria. È prossima la mezzanotte del sabato 30 gennaio 1897 e nella cucina del collegio di Santa Chiara il Beato, seduto, la testa appoggiata a un tavolo, riposa. Poco discosto da lui è don Sterpi, ancora diacono, che sta terminando la recita dell'ufficio divino. A un certo punto don Orione si scuote di soprassalto e grida come spaventato:
- Montagna, Montagna!
- State buono, state buono - osservò con l'abituale calma don Sterpi.
- Mauro Montagna! - insistette don Orione. - Ma lasciatemi dire l'ufficio. Avete sognato. - No, no, era lì, Montagna. Gli era apparso vestito di bianco, in un nimbo di luce solare sollevato da terra, e mostrava ai suoi piedi una tomba chiusa di fresco, la sua, e altre due aperte. E additando una di queste aveva esclamato: martedì, martedì.
Il giorno dopo don Orione parlò ai giovani dell'avvenimento che Dio gli mandava a mezzo del loro angelico compagno Mauro Montagna, e alla sera li invitò alla recita di un Pater Ave Gloria per il primo dei presenti destinato a lasciare questa vita.
Tra gli astanti c'era il Diverso Compagno, alunno della terza ginnasiale, molto sviluppato nella persona, un fegataccio si direbbe oggi, non troppo proclive alla pietà e che dava del buon filo da torcere ai superiori.
Il lunedì seguente, durante la scuola, don Sterpi interroga tra gli altri, per puro caso, il Diverso Compagno, il quale non risponde a dovere e dichiara: "Mi sento male".
Si manda per il medico che subito accorre e avverte che il male è grave.
Il malato va peggiorando. Preso da forti smanie dava in convulsioni e quando giunse la mamma e si chinò su di lui piangendo, per baciarlo e asciugargli il sudore, ne ebbe un terribile morso alla guancia. Martedì 2 febbraio: verso la mezzanotte, l'ora in cui Mauro Montagna era apparso a don Orione, cessava di vivere. Il cadavere irrigiditosi prese aspetti terrificanti e il volto annerì. Fu sepolto al paese nativo, Mornico Losana, in una giornata di bufera e di neve».
Il biografo prosegue: «Capitato per una missione religiosa in un paese alpestre della diocesi di Tortona dov'era parroco uno zio del "Diverso Compagno", vivamente lo pregai di mettermi a disposizione quanto possedeva degli scritti di suo nipote, dei suoi parenti e di don Orione; e con grande sorpresa mi imbattei in un documento di capitale importanza. È una lettera straordinaria scritta da don Orione circa otto mesi dopo la vicenda narrata.
Ecco il testo: "Carissimo don De Filippi, non sono 10 minuti dal momento che le scrivo che in questa stessa stanza dove le scrivo mi sono trattenuto per circa mezz'ora col suo nipote De Filippi Felice il quale, per disposizione del Signore, e per mio avvertimento e consolazione, è venuto a trovarmi. Io sapevo di parlare con un morto ed ero conscio di me come ora che le scrivo e mi ha parlato di varie cose e mi ha avvertito su alcune disposizioni da prendersi in Collegio.
Caro don De Filippi, oh sono tanto consolato! non sono 15 minuti fa che egli era con me, e io niente agitato, ma così in pace e così tranquillo: - egli pregherà per noi, ma noi dobbiamo pregare ancora per lui: gli volevo toccare la mano, ed egli da principio sembrava che non volesse, ma poi l'ho toccato e gli sono andato proprio vicino e ho toccato la sua pelle, e in quel momento mi ha dato un grave avviso per le confessioni dei giovani. Oh sono tanto contento! non era niente patito: solo aveva gli occhi così belli come gli occhi di uno che è innocente!...
Questa lettera è riservata a lei e alla sua famiglia per loro conforto. Felice prega molto per noi: siamo consolati... Tortona, 25 settembre 1897"».

D. Sparpaglione, Il beato Luigi Orione, Edizioni Paoline, 19808, pp. 99-104.